domenica 31 ottobre 2010

“Lo scudo del caimano”, di Franco Cordero

Franco Cordero è un insigne giurista, professore universitario e personaggio di grandissima cultura. Dalla lettura dei suoi editoriali e dei suoi libri ho sempre imparato qualcosa. Consiglio questa lettura anche se, al momento, oscurata dal "bunga bunga". 

“Lo scudo del caimano”, di Franco Cordero


Un poema pseudo-omerico (Batracomiomachia) narra la guerra tra rane e topi. Giacomo Leopardi l´ha tradotta e compone un incantevole sèguito, malvisto dalla critica filistea, portando alla ribalta anche i granchi. Esopo, Fedro, la Fontaine, Orwell descrivono eventi o caratteri umani in figura animalesca. Lo storico futuro studierà l´Italia post 1994 nella chiave inversa: l´umanità ridotta a storia naturale (Plinio il Vecchio, Buffon, Darwin); in tale prospettiva tutto risulta prevedibile, come quando il caimano va a caccia. Da allora ne abbiamo uno in casa. Nome e cognome, capelli artefatti, doppiopetti, sorrisi, barzellette, chansons, torrenti d´una lingua rudimentale lo distinguono appena dagli alligatori: bestie eminenti al cui sistema nervoso mancano certe operazioni, sicché ignorano morale, filosofia, diritto, politica; e quest´elementare struttura, ad alto rendimento agonistico, spiega monotone fortune.
Leviathan nuota, cerca, apposta, azzanna, divora, digerisce, lacrima, spalanca le fauci affinché uccelli parassiti gli puliscano i denti. Altrettanto meccanica l´azione berlusconiana: traffica, falsifica, plagia, corrompe, froda, spergiura, accumula, spaventa, estorce; siccome opera in ambienti più complessi delle paludi abitate dai cugini, ha bisogno d´ausiliari. Ne raccoglie una turba: fanno a gara nell´adempiere le rispettive mansioni, spesso litigiosi; i concorrenti s´affollano perché le carcasse delle prede sono lauto pasto; e fin quando le cacce siano grasse, gli saranno devoti.
S´era fatto un impero televisivo calpestando la legge. Quando perde i protettori, è molto vulnerabile. Solo lui e qualche intimo sanno cosa ci sia sotto. Gli episodi emersi danno un´idea (miliardi defluiti in varie tasche, falsi bilanci, frodi fiscali, giustizia corrotta). A questo punto, forte della lanterna magica che gli assicura una base elettorale, salta in politica: il disegno è megalomaniaco, salvarsi occupando lo Stato, ma era l´unica via, racconta un fedelissimo; «non fosse sceso in campo, saremmo sotto un ponte o in galera», come nei romanzi neri, e dopo nove anni lo ribadisce nella stessa lingua, stile Eugène Sue; «se non fai leggi ad personam, vai dentro» (qui, 25 giugno 2000; «La Stampa», 2 novembre 2009). Al primo colpo riesce: sei mesi dopo cade, dicembre 1994; negli anni del centrosinistra al potere gode favori inauditi (Bicamerale e relative collusioni). Risalito in arcione, ha bisogno d´uno scudo e gliel´allestiscono, ma nasce morto (Corte costituzionale, 13 gennaio 2004), perché simili privilegi non valgono negli ordinamenti in cui «tutti i cittadini [abbiano] pari dignità sociale e s[ia]no eguali davanti alla legge» (art. 3 Cost.). Dopo i due anni d´una legislatura abortita in mano al centrosinistra, se ne combina un secondo, altrettanto invalido e tale dichiarato, 7 ottobre 2009. Inutile dire quanto strepiti minacciando pandemoni.
Siamo al terzo tentativo. La novità sta nella forma: stavolta tirano il colpo alla revisione della Carta, convinti d´avere la chiave. Nossignori e ai miei tempi l´avrebbe capito qualunque scolaro appena sveglio: le supernorme hanno delle priorità; l´art. 3 appartiene al nucleo genetico. Anche votato quattro volte dalle Camere unanimi, non diventa norma costituzionale un ddl lesivo del principio d´eguaglianza, fuori del quale regrediremmo d´alcuni secoli: ad esempio, niente vieterebbe d´escludere dal pubblico impiego chi non giura fedeltà a B.; o un foro politico (gli uomini suoi giudicabili solo dal tal consesso). Conclusione ovvia ma le norme vivono finché qualcuno le applichi: se una corte a quindici teste, otto delle quali pieghevoli, risponde «nihil obstat», la regola cade, affossata dal fatto; e da quel giorno contiamo gli anni sub divo Berluscone (22 settembre 1792 nel calendario rivoluzionario francese o 28 ottobre 1922, dies a quo dell´era fascista). Non è più questione giuridica: il diritto postula regole prese sul serio; mancando tale presupposto, contano i puri eventi; solo la guerra rovescia le dittature italiana e tedesca (1943-45). Ora, nel ddl 2180 il presidente del consiglio non è mai giudicabile. Gli oppositori propongono che tale status duri un biennio, senza bis. I governativi oppongono un muro, futuristi inclusi, arrendevoli sulla questione capitale (dipendono tutte da lì): il privilegio varrà sine die e i conti sono presto fatti; tre anni residui dell´attuale legislatura, più sette al Quirinale e altri sette, che Domineddio lo conservi, fanno diciassette; ne avrà novantuno, ma se n´è prefissi centoventi (Mosè aveva ancora vista buona e denti saldi: Deuteronomio, 34.7). Se Iddio gli accorda l´età mosaica (Silvio barzellettiere gli dà del tu), i processi dormiranno fino al 2056.
Veniamo al lato amaramente buffo. Il Senato gli batte lo scudo sull´incudine e lui annuncia querela contro la colpevole d´inchiesta televisiva sulle sue ville nel paradiso fiscale d´Antigua. Ne parla uno dei soliti «equidistanti» (Pierluigi Battista, «Corriere della Sera», 22 ottobre). L´immunità è giusta, in quanto tutela interessi fondamentali (nel lessico forzaitaliota ed ex missino corre l´aggettivo «sacrosanto»). Sappiamo dal Ramo d´oro quanto influisca il corpo regale sull´equilibrio tellurico, marino, siderale: impegni giudiziari rubano tempo all´opera pro bono communi; e gli tolgono la quiete psichica richiesta dall´arduo lavoro. Nella platea scoppia l´ilarità: riduca i passatempi, insinua qualcuno; restano impassibili solo dei canonici scolpiti nel legno, assuefatti alla commedia; ma l´uomo al pulpito prosegue notando come l´immunità sia solo temporanea. Nuove risate. Reso ossequio a Sua Maestà, tocca delicatamente il tasto censorio: sia cortese, rimetta la querela; «sarebbe la soluzione più ragionevole». Nasce un dubbio, che in sede morale ed estetica i denti del caimano siano preferibili ai birignao pseudobivalenti. L´affare s´aggroviglia nella parte in cui coinvolge il Capo dello Stato. L´Intoccabile ringhia, poi chiede il ritiro del cosiddetto Lodo, non avendovi interesse, ma sulla testa dei cinque figli, nonché dei nipoti, giura d´essere innocente e ribatte sull´altrettanto invalido «legittimo impedimento» ossia rinvio indefinito delle udienze. La farsa italiana va in tondo, farsa nera, stile vodù.

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