Franco Cordero è un insigne giurista, professore universitario e personaggio di grandissima cultura. Dalla lettura dei suoi editoriali e dei suoi libri ho sempre imparato qualcosa. Consiglio questa lettura anche se, al momento, oscurata dal "bunga bunga".
“Lo scudo del caimano”, di Franco Cordero
Un poema pseudo-omerico (Batracomiomachia) narra la guerra tra rane e topi. Giacomo Leopardi l´ha tradotta e compone un incantevole sèguito, malvisto dalla critica filistea, portando alla ribalta anche i granchi. Esopo, Fedro, la Fontaine, Orwell descrivono eventi o caratteri umani in figura animalesca. Lo storico futuro studierà l´Italia post 1994 nella chiave inversa: l´umanità ridotta a storia naturale (Plinio il Vecchio, Buffon, Darwin); in tale prospettiva tutto risulta prevedibile, come quando il caimano va a caccia. Da allora ne abbiamo uno in casa. Nome e cognome, capelli artefatti, doppiopetti, sorrisi, barzellette, chansons, torrenti d´una lingua rudimentale lo distinguono appena dagli alligatori: bestie eminenti al cui sistema nervoso mancano certe operazioni, sicché ignorano morale, filosofia, diritto, politica; e quest´elementare struttura, ad alto rendimento agonistico, spiega monotone fortune.
Leviathan nuota, cerca, apposta, azzanna, divora, digerisce, lacrima, spalanca le fauci affinché uccelli parassiti gli puliscano i denti. Altrettanto meccanica l´azione berlusconiana: traffica, falsifica, plagia, corrompe, froda, spergiura, accumula, spaventa, estorce; siccome opera in ambienti più complessi delle paludi abitate dai cugini, ha bisogno d´ausiliari. Ne raccoglie una turba: fanno a gara nell´adempiere le rispettive mansioni, spesso litigiosi; i concorrenti s´affollano perché le carcasse delle prede sono lauto pasto; e fin quando le cacce siano grasse, gli saranno devoti.
S´era fatto un impero televisivo calpestando la legge. Quando perde i protettori, è molto vulnerabile. Solo lui e qualche intimo sanno cosa ci sia sotto. Gli episodi emersi danno un´idea (miliardi defluiti in varie tasche, falsi bilanci, frodi fiscali, giustizia corrotta). A questo punto, forte della lanterna magica che gli assicura una base elettorale, salta in politica: il disegno è megalomaniaco, salvarsi occupando lo Stato, ma era l´unica via, racconta un fedelissimo; «non fosse sceso in campo, saremmo sotto un ponte o in galera», come nei romanzi neri, e dopo nove anni lo ribadisce nella stessa lingua, stile Eugène Sue; «se non fai leggi ad personam, vai dentro» (qui, 25 giugno 2000; «La Stampa», 2 novembre 2009). Al primo colpo riesce: sei mesi dopo cade, dicembre 1994; negli anni del centrosinistra al potere gode favori inauditi (Bicamerale e relative collusioni). Risalito in arcione, ha bisogno d´uno scudo e gliel´allestiscono, ma nasce morto (Corte costituzionale, 13 gennaio 2004), perché simili privilegi non valgono negli ordinamenti in cui «tutti i cittadini [abbiano] pari dignità sociale e s[ia]no eguali davanti alla legge» (art. 3 Cost.). Dopo i due anni d´una legislatura abortita in mano al centrosinistra, se ne combina un secondo, altrettanto invalido e tale dichiarato, 7 ottobre 2009. Inutile dire quanto strepiti minacciando pandemoni.
Siamo al terzo tentativo. La novità sta nella forma: stavolta tirano il colpo alla revisione della Carta, convinti d´avere la chiave. Nossignori e ai miei tempi l´avrebbe capito qualunque scolaro appena sveglio: le supernorme hanno delle priorità; l´art. 3 appartiene al nucleo genetico. Anche votato quattro volte dalle Camere unanimi, non diventa norma costituzionale un ddl lesivo del principio d´eguaglianza, fuori del quale regrediremmo d´alcuni secoli: ad esempio, niente vieterebbe d´escludere dal pubblico impiego chi non giura fedeltà a B.; o un foro politico (gli uomini suoi giudicabili solo dal tal consesso). Conclusione ovvia ma le norme vivono finché qualcuno le applichi: se una corte a quindici teste, otto delle quali pieghevoli, risponde «nihil obstat», la regola cade, affossata dal fatto; e da quel giorno contiamo gli anni sub divo Berluscone (22 settembre 1792 nel calendario rivoluzionario francese o 28 ottobre 1922, dies a quo dell´era fascista). Non è più questione giuridica: il diritto postula regole prese sul serio; mancando tale presupposto, contano i puri eventi; solo la guerra rovescia le dittature italiana e tedesca (1943-45). Ora, nel ddl 2180 il presidente del consiglio non è mai giudicabile. Gli oppositori propongono che tale status duri un biennio, senza bis. I governativi oppongono un muro, futuristi inclusi, arrendevoli sulla questione capitale (dipendono tutte da lì): il privilegio varrà sine die e i conti sono presto fatti; tre anni residui dell´attuale legislatura, più sette al Quirinale e altri sette, che Domineddio lo conservi, fanno diciassette; ne avrà novantuno, ma se n´è prefissi centoventi (Mosè aveva ancora vista buona e denti saldi: Deuteronomio, 34.7). Se Iddio gli accorda l´età mosaica (Silvio barzellettiere gli dà del tu), i processi dormiranno fino al 2056.
Veniamo al lato amaramente buffo. Il Senato gli batte lo scudo sull´incudine e lui annuncia querela contro la colpevole d´inchiesta televisiva sulle sue ville nel paradiso fiscale d´Antigua. Ne parla uno dei soliti «equidistanti» (Pierluigi Battista, «Corriere della Sera», 22 ottobre). L´immunità è giusta, in quanto tutela interessi fondamentali (nel lessico forzaitaliota ed ex missino corre l´aggettivo «sacrosanto»). Sappiamo dal Ramo d´oro quanto influisca il corpo regale sull´equilibrio tellurico, marino, siderale: impegni giudiziari rubano tempo all´opera pro bono communi; e gli tolgono la quiete psichica richiesta dall´arduo lavoro. Nella platea scoppia l´ilarità: riduca i passatempi, insinua qualcuno; restano impassibili solo dei canonici scolpiti nel legno, assuefatti alla commedia; ma l´uomo al pulpito prosegue notando come l´immunità sia solo temporanea. Nuove risate. Reso ossequio a Sua Maestà, tocca delicatamente il tasto censorio: sia cortese, rimetta la querela; «sarebbe la soluzione più ragionevole». Nasce un dubbio, che in sede morale ed estetica i denti del caimano siano preferibili ai birignao pseudobivalenti. L´affare s´aggroviglia nella parte in cui coinvolge il Capo dello Stato. L´Intoccabile ringhia, poi chiede il ritiro del cosiddetto Lodo, non avendovi interesse, ma sulla testa dei cinque figli, nonché dei nipoti, giura d´essere innocente e ribatte sull´altrettanto invalido «legittimo impedimento» ossia rinvio indefinito delle udienze. La farsa italiana va in tondo, farsa nera, stile vodù.
Leviathan nuota, cerca, apposta, azzanna, divora, digerisce, lacrima, spalanca le fauci affinché uccelli parassiti gli puliscano i denti. Altrettanto meccanica l´azione berlusconiana: traffica, falsifica, plagia, corrompe, froda, spergiura, accumula, spaventa, estorce; siccome opera in ambienti più complessi delle paludi abitate dai cugini, ha bisogno d´ausiliari. Ne raccoglie una turba: fanno a gara nell´adempiere le rispettive mansioni, spesso litigiosi; i concorrenti s´affollano perché le carcasse delle prede sono lauto pasto; e fin quando le cacce siano grasse, gli saranno devoti.
S´era fatto un impero televisivo calpestando la legge. Quando perde i protettori, è molto vulnerabile. Solo lui e qualche intimo sanno cosa ci sia sotto. Gli episodi emersi danno un´idea (miliardi defluiti in varie tasche, falsi bilanci, frodi fiscali, giustizia corrotta). A questo punto, forte della lanterna magica che gli assicura una base elettorale, salta in politica: il disegno è megalomaniaco, salvarsi occupando lo Stato, ma era l´unica via, racconta un fedelissimo; «non fosse sceso in campo, saremmo sotto un ponte o in galera», come nei romanzi neri, e dopo nove anni lo ribadisce nella stessa lingua, stile Eugène Sue; «se non fai leggi ad personam, vai dentro» (qui, 25 giugno 2000; «La Stampa», 2 novembre 2009). Al primo colpo riesce: sei mesi dopo cade, dicembre 1994; negli anni del centrosinistra al potere gode favori inauditi (Bicamerale e relative collusioni). Risalito in arcione, ha bisogno d´uno scudo e gliel´allestiscono, ma nasce morto (Corte costituzionale, 13 gennaio 2004), perché simili privilegi non valgono negli ordinamenti in cui «tutti i cittadini [abbiano] pari dignità sociale e s[ia]no eguali davanti alla legge» (art. 3 Cost.). Dopo i due anni d´una legislatura abortita in mano al centrosinistra, se ne combina un secondo, altrettanto invalido e tale dichiarato, 7 ottobre 2009. Inutile dire quanto strepiti minacciando pandemoni.
Siamo al terzo tentativo. La novità sta nella forma: stavolta tirano il colpo alla revisione della Carta, convinti d´avere la chiave. Nossignori e ai miei tempi l´avrebbe capito qualunque scolaro appena sveglio: le supernorme hanno delle priorità; l´art. 3 appartiene al nucleo genetico. Anche votato quattro volte dalle Camere unanimi, non diventa norma costituzionale un ddl lesivo del principio d´eguaglianza, fuori del quale regrediremmo d´alcuni secoli: ad esempio, niente vieterebbe d´escludere dal pubblico impiego chi non giura fedeltà a B.; o un foro politico (gli uomini suoi giudicabili solo dal tal consesso). Conclusione ovvia ma le norme vivono finché qualcuno le applichi: se una corte a quindici teste, otto delle quali pieghevoli, risponde «nihil obstat», la regola cade, affossata dal fatto; e da quel giorno contiamo gli anni sub divo Berluscone (22 settembre 1792 nel calendario rivoluzionario francese o 28 ottobre 1922, dies a quo dell´era fascista). Non è più questione giuridica: il diritto postula regole prese sul serio; mancando tale presupposto, contano i puri eventi; solo la guerra rovescia le dittature italiana e tedesca (1943-45). Ora, nel ddl 2180 il presidente del consiglio non è mai giudicabile. Gli oppositori propongono che tale status duri un biennio, senza bis. I governativi oppongono un muro, futuristi inclusi, arrendevoli sulla questione capitale (dipendono tutte da lì): il privilegio varrà sine die e i conti sono presto fatti; tre anni residui dell´attuale legislatura, più sette al Quirinale e altri sette, che Domineddio lo conservi, fanno diciassette; ne avrà novantuno, ma se n´è prefissi centoventi (Mosè aveva ancora vista buona e denti saldi: Deuteronomio, 34.7). Se Iddio gli accorda l´età mosaica (Silvio barzellettiere gli dà del tu), i processi dormiranno fino al 2056.
Veniamo al lato amaramente buffo. Il Senato gli batte lo scudo sull´incudine e lui annuncia querela contro la colpevole d´inchiesta televisiva sulle sue ville nel paradiso fiscale d´Antigua. Ne parla uno dei soliti «equidistanti» (Pierluigi Battista, «Corriere della Sera», 22 ottobre). L´immunità è giusta, in quanto tutela interessi fondamentali (nel lessico forzaitaliota ed ex missino corre l´aggettivo «sacrosanto»). Sappiamo dal Ramo d´oro quanto influisca il corpo regale sull´equilibrio tellurico, marino, siderale: impegni giudiziari rubano tempo all´opera pro bono communi; e gli tolgono la quiete psichica richiesta dall´arduo lavoro. Nella platea scoppia l´ilarità: riduca i passatempi, insinua qualcuno; restano impassibili solo dei canonici scolpiti nel legno, assuefatti alla commedia; ma l´uomo al pulpito prosegue notando come l´immunità sia solo temporanea. Nuove risate. Reso ossequio a Sua Maestà, tocca delicatamente il tasto censorio: sia cortese, rimetta la querela; «sarebbe la soluzione più ragionevole». Nasce un dubbio, che in sede morale ed estetica i denti del caimano siano preferibili ai birignao pseudobivalenti. L´affare s´aggroviglia nella parte in cui coinvolge il Capo dello Stato. L´Intoccabile ringhia, poi chiede il ritiro del cosiddetto Lodo, non avendovi interesse, ma sulla testa dei cinque figli, nonché dei nipoti, giura d´essere innocente e ribatte sull´altrettanto invalido «legittimo impedimento» ossia rinvio indefinito delle udienze. La farsa italiana va in tondo, farsa nera, stile vodù.