giovedì 25 ottobre 2007

La commedia dei costi della politica e della spesa pubblica


“Non è possibile…”. Quando ho letto che ieri a Roma in 20.000 (secondo me erano 200 ma l’importante è spararla grossa; come per la manifestazione della sinistra di sabato: fonti del Viminale dicono 100.000 ma tutto il mondo ormai crede che ne fossero 1.000.000) hanno manifestato per protestare contro il taglio delle Comunità montane previsto dalla Finanziaria, non ci volevo credere. Dopo tutto il gran chiasso sui costi della politica, sulla spesa pubblica eccessiva, sul denaro dei cittadini sperperato in mille rivoli; dopo tutto il gran parlare della necessità di ridurre e “razionalizzare” (pare che sia un termine che va di moda) la miriade di piccoli enti locali, di comitati, di centri, di comunità, di consorzi, ecc., che ingoiano improduttivamente grandi dispense di fondi pubblici; dopo che le Comunità montane erano diventate un simbolo del malfunzionamento dello Stato (l’emerito “Report” aveva dimostrato che molte comunità montane sono istituite al livello del mare e hanno come territorio da tutelare non i pascoli per le caprette ma le spiagge dei litorali), ebbene, dopo tutto ciò che succede? Grande manifestazione di protesta perché il Governo si è permesso di proporre una riduzione delle Comunità da 355 a 250 eliminando quelle che hanno come unico obiettivo la raccolta delle conchiglie lungo la spiaggia.
Le preoccupazioni dei manifestanti sono sostanzialmente due. Una, poteremmo dire, di carattere orografico-geologico, ed è riassunta dal manifesto che apriva il corteo: “Senza la montagna frana la pianura”. Verrebbe da tranquillizzare gli interessati assicurando che se la comunità è istituita in pianura, la pianura è difficile che frani. La seconda preoccupazione è espressa limpidamente dalle parole del presidente dell’Unione dei Comuni e delle Comunità montane: “Non ci stiamo a fare l'agnello sacrificale di questa commedia sui costi della politica”. Che dire? Ha perfettamente ragione. Quella dei costi della politica e della spesa pubblica eccessiva è una commedia, non è per niente una cosa seria. Non lo è come non lo possono essere molte, troppe cose in Italia. Vorrei conoscere almeno qualcuno che dopo aver sbraitato contro la casta, gli sprechi, la troppa spesa pubblica, sia concretamente e convintamene disposto a rinunciare a quella fetta di spesa pubblica che spetta a lui stesso. Mentre ci lamentiamo per i costi eccessivi dello Stato scioperiamo come insegnanti perché il governo di ha dato l’aumento di “solo” 140€ al mese (Berlusconi invece in 5 anni….), come studenti perché vorremmo i libri gratis pagati dallo Stato, come dipendenti pubblici perché l’aumento di 101€ al mese è stato fissato ma ancora non scatta e ci perdiamo troppi soldi, come pensionati perché con l’aumento di 40€ al mese non ci si comprano nemmeno le caramelle, come lavoratori (di qualsiasi tipo) perché il protocollo sul welfare (non siamo nemmeno capaci di usare una parola italiana) anche se ci toglie lo scalone, propone soluzioni per la precarietà, eroga risorse per gli ammortizzatori sociali, incentivi per l’occupazione, misure per la previdenza, è troppo poco, e ci spetta senz’altro molto di più, come residenti in una deliziosa casetta da cui quando apriamo la finestra sentiamo gracchiare i gabbiani ma che per qualche contorto percorso fa parte di una comunità montana qualsiasi, perché in quanto montagna siamo una risorsa, anche se stiamo al mare. Ci teniamo tutti a fare bella figura raccontando in giro che il problema dell’Italia sta nell’eccessiva spesa che sta facendo esplodere il debito pubblico ma se qualcuno ci dice che anche noi nel nostro piccolo possiamo fare la nostra parte gli facciamo vedere i sorci verdi. Se il classico alieno di turno (ma senza andare troppo lontano basterebbe uno svizzero o un austriaco) passasse da queste parti direbbe: “Benissimo, immagino che voi italiani per compensare una spesa pubblica così alta e così in crescita siete molto felici di pagare tante tasse così da evitare che il debito pubblico sprofondi!” E invece bisogna raccontargli la storia di un governo che in un anno e mezzo per cercare di far pagare qualche tassa a chi non le ha pagate mai è sceso ormai al 20% dei consensi.
Pubblicato da Paolo

6 commenti:

Anonimo ha detto...

semplice: come al solito è facile lamentarsi e puntare il dito contro gli altri. Più difficile avere una coscienza sociale e civica che ti permetta di capire che la "cosa" pubblica è anche tua, non solo come sfruttamento di diritti, ma anche come doveri.
In Italia manca questa coscienza civica, tutti attaccati al proprio orticello e ai propri piccoli interessi, sia nella gestione dello stato, sia nelle questioni più piccole.
e poi sta dilandando la mania di protestare, come dicevo in un altro commento, facile la protesta, il dire no, più difficile fare la proposta, il trovare soluzioni concrete

Anonimo ha detto...

Bel post Paolo! Complimenti! Lungo sì ma appassionante... però una cosa la devo dire:
Luigi ci rimarrà malissimo quando scoprirà che sul blog di Filottrano sei attivo e su quello di Servigliano no!!!

Anonimo ha detto...

Lo so Sonia, ero consapevole del problema, ma Nadia minacciava crisi di ogni tipo (peggio di quelle del governo) se non scrivevo qualcosa. Allora le ho mollato questa filippica che per quanto è lunga mi mette al riparo per un bel po'. Diciamo che sto "a post" per almeno un mesetto.

luigi ha detto...

Questo post tocca il problema delle conseguenze. Dopo esserci esaltati per uno slogan o per una giusta cosa da fare, siamo anche capaci di accettarne le conseguenze?
Qualche esempio.
1. Tutti dicono che il vero problema italiano (il nostro peccato originario) è l'enorme debito pubblico. Bene, il primo anno di questo governo è stato "speso" per questo obiettivo e con buoni risultati. Conseguenza: disastro di consenso, nelle piazze e sulla stampa (giornali e TV).
2. Lotta all'evasione fiscale. Vedi sopra.
3. Il Pd nasce all'insegna di una forte parola d'ordine: Merito. Bene, siamo in grado di gestire le conseguenze di questo obiettivo? Perchè spesso ho il dubbio che quando parliamo di merito in realtà ognuno pensa al proprio diritto ad avere qualcosa (per merito chiaramente!). Ad esempio, se non vinco un concorso non è pensabile che ci sia qualcuno che lo merita più di me, semplicemente è raccomandato e quindi non è stato riconosciuto il mio merito.
4. Indipendenza della Rai dalla politica. In questi anni uno dei maggiori paladini della libertà dell'informazione è stato Santoro. In una recente trasmissione ha chiesto un segno di svolta al centrosinistra. Col tono del fustigatore ha invocato Prodi e D'Alema (Perchè D'Alema poi? Che c'entra il ministro degli esteri?) di fare un gesto forte, un "editto al contrario" per far tornare Luttazzi in Rai. Ora, se vogliamo chiamare la cosa col nome appropriato, un "editto al contrario" non è altro che una bella Raccomandazione con la R maiuscola. Altro che indipendenza della Rai dalla politica. Si chiede al Presidente del consiglio di raccomandare qualcuno in Rai, e a chiederlo è uno dei simboli dell'indipendenza della Rai dalla politica.

luigi ha detto...

A proposito, vista la rapidità con cui Paolo si è messo la coscienza a "post" su questo blog, non ci resta che dare ragione a Cetto Laqualunque e al suo famoso slogan elettorale!

Anonimo ha detto...

quest'ultima cosa, Luigi non l'ho capita...comunque è vero, finchè resteremo a pensare ognuno al proprio orticello e ai prorpi diritti (e non doveri), a quello che ci spetta e non ha quello che dobbiamo fare, mi sa che l'Italia rimarrà sempre uguale.
E penso che in fin dei conti la maggior parte delle persone voglia, purtroppo, questo.